IRPINIA – Il dolore che ho visto
Quel 23 novembre 1980, alla notizia del terremoto in Irpinia, non avevo potuto muovermi subito da Milano, ma appena libero, sono partito.
Provavo una certa inquietudine perché andavo incontro ai disastri di un terremoto, ma ero anche contento di rivedere, dopo anni, il Sud Italia, terra antica e disgraziata dei miei genitori.
Sono arrivato a Sant’Angelo dei Lombardi tra massi e detriti e, dopo la faticosa salita che svolta in cima al paese, mi è apparso l’orrore degli edifici crollati: il municipio, l’ospedale, la scuola, la caserma, le chiese, tutto era stato distrutto dal sisma.
Lo sfregio che la natura aveva inferto alla popolazione si rispecchiava anche nei visi delle persone. Allo strazio e alla disperazione della prima ora a cui non avevo assistito, era subentrato lo smarrimento. Dal marciapiede sollevavano lo sguardo per accertarsi che qualcosa fosse rimasto ancora in piedi. Per le strade il silenzio, che succedeva alla gran confusione di mezzi e persone dei primi giorni. Non c’erano più né giornalisti né fotografi, ero rimasto solo io a fotografare il dopo terremoto.
Rimasi per giorni a Sant’Angelo, dormendo in macchina e mangiando cibo in scatola, come ipnotizzato dalla forza di quegli abitanti che, nonostante il freddo, la pioggia e i mille disagi, avevano deciso di non rassegnarsi, di non abbandonare il proprio territorio.
Questa esperienza ha ancor più radicato in me la consapevolezza di quanto tutto sia impermanente: le cose, le case, noi.